Carmen Consoli torna con il nuovo album di inediti “Volevo fare la rockstar”. In copertina quella Carmen bambina che sognava di fare la rockstar e immaginava “il tavolo della cucina era un palco perfetto, volevo fare la musica e scuotere su e giù la testa, imbracciando una chitarra vera”.
Dalla Sicilia alle ovazioni di New York, con quella definizione del New York Times che la descrive perfettamente, “Magnifica combinazione tra una rocker e un’intellettuale…una voce piena di dolore, compassione e forza”, Carmen Consoli con “Volevo Fare la rockstar” arriva a distanza di sei anni da “L’abitudine di Tornare” e tre da “Eco di Sirene” (album live con i successi riarrangiati per chitarra, violino e violoncello).
Un grande sogno da custodire e coltivare, un sogno da ricercare e ascoltare è ciò che ci rende più umani e più felici, ciò che ci caratterizza e identifica. Perché il sogno può essere un piccolo seme che germoglia diventando desiderio e il desiderio spinge a cercare le risorse e l’energia per poterlo trasformare in progetto e per mettere in piedi le azioni necessarie a realizzarlo. È questo il tema principale di Volevo fare la rockstar, e intorno a questo si sviluppano immagini e piani temporali: ricorrono sogni, ma anche ricordi e desideri. Nel passato ritroviamo la nostra identità, chi siamo e cosa vogliamo diventare (“dovrai decidere la sorte di questo ricordo” canta Carmen in L’aquilone); nel nostro presente cerchiamo “l’impegno e la coerenza” (Armonie numeriche) per riuscire a realizzare quei progetti, mentre la visione del futuro muove le azioni e i cuori (Imparare dagli alberi a camminare nasce dalla sensazione che “qualcosa di molto speciale/sta per succedere”).
Volevo fare la rockstar è un album ricco di immagini fiabesche ed oniriche: “il chiarore della luna e delle favole” ne Le cose di sempre; “Venere al tramonto culla un piccolo mistero interplanetario” in Sta succedendo, il coraggio di “affrontare l’uomo nero” nella title-track. Questo immaginario – insieme al continuo alternarsi di passato presente e futuro, di sogno impegno e progetto – è un invito a “respirare col cuore”, a “riaccendere i sogni e i lumi della ragione” (Una domenica al mare), a trovare la parte più autentica di sé, oltre le convenzioni e le aspettative sociali, dando voce a “Quei desideri che da qualche parte ancora aspettano” (L’aquilone). I sogni ci inducono a guardare le cose da un punto di vista diverso e più ampio: un esercizio che può risultare rischioso ma che talvolta è indispensabile (“sporgersi è un dovere a volte necessario” canta in Sta succedendo).
Altro tema che ricorre nel disco è il timore – espresso spesso con ironia – che si possano riaffermare la logica della sopraffazione, il sovranismo, il negazionismo, con conseguente corollario linguistico di luoghi comuni e frasi fatte. È il caso dello scalcinato Mago magone, un seduttore che “offre rimedi a pene d’amore, mali impietosi, miseria, timore” o degli “Illustri shamani” che affermano che “La terra è in gran forma” e “l’effetto serra è una superstizione da scienziati” in Qualcosa di me che non ti aspetti. È L’uomo nero che proclama borioso: “sono il vostro condottiero/grazie al cielo un uomo vero”; ma è anche l’assenza di empatia nei confronti di “inestimabili esistenze disperse in mare” in “questa giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore, il mito della clava e del terrore” descritta con pudore ne Le cose di sempre.
A ben guardare, una risposta a questi timori la possiamo trovare nella Natura che ci mostra come “ricominciare, imparare dagli alberi a camminare senza calpestare”. Anche i tempi di questo mondo onirico e del desiderio che si fa progetto sono scanditi dalla Natura. Sono quelli di un’ “estate arrivata in fretta” o di “un’alba nuova da guardare” in Una domenica al mare. Sono il “tempo di ciliegie” e l’autunno quando “un mare in tempesta infuriava sugli scogli” in Armonie numeriche.
Racconta Carmen che nella composizione di questo album si è sentita libera come quando ha scritto il suo primissimo Due parole (1996): come allora, ha trascorso del tempo in studio con Roccaforte (che ha prodotto il disco insieme a lei e a Toni Carbone) giocando sui suoi appunti musicali e su questi hanno suonato e improvvisato insieme sinché i pezzi non hanno raggiunto una forma che li soddisfacesse per registrare infine quelle versioni. Avere Toni Carbone come fonico ha caratterizzato il disco con un suono tutto analogico, con muri di amplificatori e valvolari, mentre Pino Pischetola che lo ha missato ha conferito al lavoro la freschezza della sua visione digitale.