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“Andy Warhol. Icona Pop”: a Padova dal 30 settembre

“Andy Warhol. Icona Pop” riunisce oltre 150 opere tra disegni, fotografie, incisioni, serigrafie, sculture e postcards, e si sviluppa su sei sezioni tematiche, a partire dal ritratto biografico del grande artista newyorkese. Offre un viaggio incalzante nell’eccentrico mondo di Warhol, soffermandosi sulla rappresentazione che Warhol propone della società e della cultura americane. Nel suo corpus di opere trovano spazio i marchi che popolavano l’immaginario pubblicitario diffuso negli Stati Uniti tra gli anni ’60 e gli anni ’70: come l’iconica zuppa Campbell. Accanto ai brand, Warhol rappresenta le icone dello spettacolo, a cui spetta un trattamento analogo rispetto ai prodotti. Il volto di Mick Jagger, di Sylvester Stallone o la star Marilyn sono “trattati” come prodotti di consumo rivestiti della medesima aura mistica con cui Warhol ripensa i suoi “oggetti” per trasformarli in un manufatto artistico.

Nel 1962, presso la Ferus Gallery di Los Angeles, un giovane artista inaugura la sua prima mostra personale nella città californiana. Le opere esposte sono rappresentazioni di lattine Campbell’s Soup realizzate mediante serigrafia e acrilico su tela. L’autore è Andy warhol e i critici stroncano le sue composizioni come “opere piatte e provocatorie”. Ciononostante, da quel momento in poi il suo successo sarà inarrestabile. Nella celebre “Factory” transiteranno i più grandi intellettuali e vip del momento, tutti desiderosi di farsi fare un ritratto da Andy.

Lo sfondo della pop Art è la cultura di massa, destinata a diventare l’oggetto principale dell’arte stessa. I suoi elementi sono noti: cattivo gusto, volgarità, kitsch; inevitabili sottoprodotti di una globalizzazione sempre più massiccia. Gli artisti spesso esasperano queste componenti e, tramite il filtro dell’ironia, pongono l’accento sullo svilimento del gusto; evidenziando al tempo stesso il proprio distacco, la propria natura di esseri privilegiati che si collocano al di fuori della società, non subendo che marginalmente l’onda anomala del suo stesso degrado.

Andy Warhol procede seguendo uno schema ben preciso: isolamento visivo dell’immagine, assimilazione del linguaggio pubblicitario, ripetizione e uso di colori chiassosi. Il procedimento svela la vera natura della modernità: l’indifferenza, il materialismo, la manipolazione mediatica, lo sfruttamento economico, l’irrefrenabile consumismo, il divismo e la creazione di falsi bisogni e false aspirazioni nelle masse. La semplicità delle immagini di Warhol garantisce la loro immediata fruibilità. L’iterazione richiama inconfutabilmente la ripetitività delle immagini impiegata dalla cultura di massa per vendere merci e servizi. L’assimilazione al marketing dell’industria non si esaurisce nella riproposizione delle caratteristiche della pubblicità, ma diventa ancora più profonda nel momento in cui Warhol utilizza le tecniche della produzione industriale stessa. L’operazione rende anonima la figura dell’artista nel processo produttivo, sottolineando così l’assurdità del completo distacco da ogni impegno emotivo.

Warhol svela la superficialità del sistema a cui appartiene, attraverso la manipolazione delle immagini e la trasformazione del sé in un personaggio al limite del grottesco. La forza del suo stile, pur nella semplicità della sua estetica, è capace di superare in fama persino le icone rappresentate. La minestra Campbell è ormai un pezzo da museo, Elvis e Mao sono superstar del Novecento; Andy Warhol è invece vivo e vegeto e il suo modus operandi rivive quotidianamente nella maniera di molti artisti e nel nostro stesso approccio al mondo contemporaneo.

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